sabato, maggio 07, 2011

Emilio e Lucia




















A questo punto un libro potrebbe anche finire.
Ma però.
La scena era davvero ai limiti tra l'imbarazzante ed il ridicolo. Io avevo la sporta a tracolla, quella che di solito uso per la spesa. Quelle borsette che si piegano e diventano minuscole e stanno raccolte dentro il loro contenitore chiuso da una minuscola cerniera.
Dentro avevo l'urna con le ceneri del papà, mentre la zia L. teneva nella mano destra la sua sportina di tela bianca con una scritta pubblicitaria che adesso non ricordo più.
E là c'era la mamma, nell'altra urna.
E pesavano quelle due cose, cacchio se pesavano. Poi sul ponte c'erano dei turisti, ed io ho protetto col braccio il mio fardello; mia zia arrancava su per i gradini cercando di scansare la gente. E intanto brontolava. Mi veniva da ridere. Mi veniva da ridere pensando a cosa le stavo proponendo. Inverosimile. Robe da non credere.
La mia zia ottantunenne che portava nella borsa della spesa sua sorella. Come un litro di latte e poco più.
Povera Lucia, povera Lucia. Intanto diceva.
“Essere sballottata anche da morta, non bastava da viva”.
Così mi è venuta in mente quella volta. Uno dei tanti ricoveri di quel bastardo novantotto.
Dovendo fare un esame più approfondito, la mamma doveva spostarsi di reparto e così venne a prenderla il portantino con la sedia. Ma c'era un piccolo problema: erano in due a dover fare quell'esame, di pazienti. E non c'erano altre sedie.
Due scriccioli di donne consumate dal cancro. Due belle anziane signore con le teste calve ma ancora piene di forze, s'intende (o forse lo volevo io); e con un grande senso dell'ironia (quello era evidente, per la miseria).
Così accettarono di usare la stessa sedia, ponendosi una davanti all'altra. Cioè: l'altra signora seduta con la schiena appoggiata all'apposito sostegno e mia madre tra le gambe larghe della medesima signora che con le braccia la cingeva in un abbraccio simpatico, paurosa che la mamma scivolasse in avanti... ma non era il davanti il problema; solo che questo lo capimmo dopo.
In più pioveva. Pioveva molto.
Quel giorno chi vide quell'improbabile scena non potette esimersi dal sorridere: il portantino sotto un diluvio torrenziale, chiuso nella sua cerata gialla, arrancava trascinando una sedia con due rotelle e due ilari minuscole signore in vestaglia che se la ridevano ad ogni curva.
Io con l'ombrello, correvo loro appresso, cercando di ripararle. Bagnata come un pulcino.
Il punto era che non appena il portantino portava la sedia ad una tale angolazione, le due anziane signore si sbilanciavano all'indietro cosicché mia madre, che stava sul davanti, inesorabilmente schiacciava la signora dietro che inevitabilmente veniva spinta verso lo schienale della portantina con poche possibilità di allargare la cassa toracica in tanti bei respiri.
E giù a ridere.
Non ricordo di aver visto mia madre sballottata più di quel giorno.
Ma ricordo bene quanto tutti noi (portantino compreso) abbiamo riso, e per quanto tempo (quanto ancora visse mia madre?) ricordammo la scena.
Perciò, là sul ponte vicino casa, mia zia mi vide sorridere e forse non capì ma sono sicura che mia madre mi fu complice e sorrise. Anche di più.
Rideva poco la mamma, ma quando lo faceva era una risata cristallina e trascinante, magari infarcita con qualche parolaccia detta in dialetto.
Mi tenni stretta il papà tra le braccia e sentii dentro che tutto stava andando bene.
Portandomeli a casa, avevo fatto la scelta giusta.

2 commenti:

  1. Si,la scelta giusta. Non c'è dolore qui,tanto affetto. Mi piace.

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  2. Allora spariscono pure da qui i commenti,io l'avevo scritto!

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